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Generazioni a confronto: dai ragazzi degli anni '80 ai Millennials

Generazioni a confronto: dai ragazzi degli anni '80 ai Millennials

Autore: Susanna Schivardi - Redazione Attualita'
Data: 20/09/2017 06:43:24

Generazioni a confronto dagli anni ’80 ad oggi, in una parabola altalenante con pochi punti di riferimento e tante differenze. Da quando i giovani sognavano il motorino, il cosiddetto cinquantino, o il bomber all’ultima moda, il pop si alternava al rock e la ribellione era ancora uno strascico evidente dei ruggenti anni ’60 e ’70, mentre i figli di quei genitori, a 10 anni guardavano Happy Days. Si respirava aria di crisi ma ci si illudeva ancora di poterla superare, studiando e conseguendo file di master, imparare le lingue o perlomeno l’inglese, si pretendeva una certa indipendenza e ci si affogava ancora nello sballo della droga, dell’alcool e del sesso non protetto, a partire almeno dai 16 anni.

Questa era la generazione x, poi è arrivata la generazione y, quella dei millennials, nati tra gli anni ’80 e il 2000, ibrida e indecisa, quasi cubica, anzi quadrata, perché integra, fin troppo. Sono i ragazzi di 20 e 30 anni, ancora a casa con i genitori, nati senza lo smartphone ma abituati a connessioni ininterrotte, senza eccedere però.

Una generazione acerba, indecisa tra il dire e il fare, propensa alla riflessione e alla chiusura sul sé, aperta alla collettività ma sempre calamitata dalla sicurezza della casa paterna, quasi indifferente al benessere economico, come se tutto gli fosse dovuto. Idee poco chiare sullo studio, disillusa verso il mondo del lavoro che, almeno in Italia, è latitante. Poco specializzata e poco risoluta anche nei rapporti interpersonali.

Da diversi studi e ricerche emerge che si tratta di una generazione terrorizzata dalle malattie e quindi poco propensa ai rapporti con l’altro sesso soprattutto se superficiali e occasionali. Affascinata dalla tecnologia non ne diventa necessariamente dipendente, anzi. Sembra distaccarsene quasi per moda, annullare i privilegi dello smartphone per tornare in un certo senso alle origini. Al contrario della generazione z, quella nata dopo il 2000, dei giovanissimi che usano il cellulare come un terzo arto, e che si sentono morire senza.

Generazione a rischio, secondo studi che rivelano quanto l’eccessivo uso di apparecchi elettronici condizionino lo sviluppo mentale e psicologico dei soggetti più deboli.

Ragazzini incapaci di comunicare con famiglia e amici dal vivo, chiusi dentro le loro stanze a chattare per ore, senza mai uscire. Sono attivi centri di recupero per sedicenni in crisi, feticizzati dagli stessi strumenti che loro hanno adottato come unico referente. Genitori distratti, loro stessi, dagli smartphone, mostri innovativi che ancora necessitano di istruzioni per l’uso. Scuole per genitori e figli dove imparare l’utilizzo del telefono, della rete e di tutto quello che intorno ad essi ruota, ecco la novità. Una meta-comunicazione che trova riscontro in un desiderio di estrema normalità.

Lo si ascolta alla radio con jingle tormentosi di cantanti soft pop nuovissimi, che inneggiano alla bellezza del quotidiano, a quel lieve fluire della vita che non mette a rischio nessuno. Niente droghe, niente sesso, niente sballo, i giovani di oggi amano rimanere lucidi con la faccia stampata sugli schermi di un oggetto inerme, a cui fare domande e dove trovare risposte.

La cocaina di oggi è una risposta sui social, un messaggio agognato, un’approvazione virtuale collassata che genera endorfina come il sesso vero. La generazione z fa il verso ai predecessori immersi all’improvviso in una tecnologia avanzata e inattesa, ancora in fieri, piena di sorprese, senza manuale d’istruzioni.

Eserciti del selfie che avanzano e che si trasformano in tredicenni pronte al sexting pur di fare colpo, come se mostrarsi nude tramite foto sia la normalità, poi se si tratta di incontrarsi per davvero la paura del confronto fa da contrappasso ad un mondo diventato incomprensibile. Capirsi tramite faccine è più semplice che puntarsi gli occhi in faccia e rivelarsi veramente. Raccontare gli ultimi episodi de I Guardiani della Galassia II è più conveniente che dispiegare le proprie debolezze.

La solitudine inceppata da una tastiera dove ogni pensiero avanza serpeggiante in un meta-mondo virtuale che prende il posto di aria, acqua e cielo. Il cielo in una stanza non è più la romantica canzone dei nostri genitori ma è quello che rimane dipinto nell’immaginario di un adolescente non più capace di alzare gli occhi e imbambolarsi nel mondo con sguardo stupito.

I Pokemon hanno vinto, e con loro i vari Viber, instagram o messaggistica immediata dove il fluire dei pensieri corrompe qualsiasi riflessione e si trasferisce nel grande calderone del troppo, dell’eccesso del dire molto ma senza riscontro. Un like ha più valore di un voto a scuola, dove i professori non hanno appeal ma nemmeno la storia o la geografia, tutto reperibile su google, che con un colpo di click brucia enciclopedie e biblioteche, annullando il passato.

Non è un paese per vecchi è il titolo di un film, poi è arrivato non è un paese per giovani, quello di oggi sembra essere un mondo adatto a nessuno. Se di fuori x, dentro y, e poi su un profilo social diventano rockstar e brillanti pierre.  

Filtri e app trasformano decadenti milfs in ventenni seducenti, peccato che le rughe sul collo rimangano sempre e così anche la vecchia generazione si vuole finta e plastificata.

Quanto vale distinguere le generazioni se poi la tecnologia allinea tutto e senza scontro dilegua le divergenze in un diramarsi di spersonalizzazione e scarnificazione della volontà? Vale ancora la pena litigare per la paghetta settimanale o per un motorino di seconda mano, se adesso a sedici anni gli adolescenti si aspettano come minimo l’ultimo i-phone da 700 euro? Se al motorino rimediato usato e con pezzi di ricambio rubacchiati, adesso va di moda girare con macchinette taroccate e dal manto brillante? 


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